“Il caso C” non è chiuso.
Dopo vent’anni si è ripresentato, e in questo dibattito i giovani socialisti hanno un ruolo e delle ragioni che vanno difese. Per questo voglio cogliere l’occasione di rispondere all’articolo del Segretario Nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, Nicolò Monti, dove “contro la beatificazione di Craxi” sostanzialmente si colpevolizza quell’esperienza storica come liberista.
Sbagliato. E per motivi che descriverò.
Innanzitutto il grande nemico del socialismo anni ’80 fu proprio il liberismo di Regan e della Thatcher. Tanto quanto questi furono avversari di Craxi sul piano internazionale. A confronto lo erano meno i comunisti italiani, con i quali il PSI governava alcune città compresa Milano. Con Regan sono note le frizioni sul piano internazionale (Sigonella più di tutte), anche se va capito che Craxi non era assolutamente un anti-americano, ma aveva un’idea di politica estera lungimirante che concepiva le alleanze in ottica di equilibrio e rispetto delle reciproche sovranità. Meno nota è la sconfitta della Thatcher quando Craxi la mise in minoranza al Consiglio Europeo di Milano, sulla discussione che riguardava il Trattato Unico Europeo.
E nella politica interna? La politica dei socialisti era tutta incentrata sul controllo pubblico dell’economia, pur senza dogmatismi: produrre ricchezza e redistribuirla. In questo senso “il taglio della scala mobile”, per sconfiggere l’inflazione e ridare potere (d’acquisto) ai lavoratori italiani. Ci si dimentica sempre che quella manovra fu fatta in accordo con le parti sociali, coi sindacati Cisl e Uil che insieme esprimevano la maggioranza. Anche per questo il referendum fu vinto, assieme all’inflazione.
Si cita poi Prodi. Bene, parliamone: Romano Prodi fu fatto Presidente dell’IRI nel 1982, e non c’era Craxi ma il Governo Spadolini. La politica che Prodi seguì – è vero, di smantellamento dell’IRI – fu proprio in barba a Craxi e ai socialisti che si opponevano fermamente a quella linea. Prodi non riuscì a vendere la SME infatti, riuscendoci solo nel 1993.
Fu poi famosa la “lite delle comari” – sempre ’82 – tra il Ministro PSI dell’economia Rino Formica e il ministro del tesoro Beniamino Andreatta. Quest’ultimo, che diventerà grande sostenitore di Prodi, provocò il “divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia” in sintonia con l’allora governatore Ciampi: quel meccanismo che sostanzialmente permetteva allo Stato italiano di coprire i titoli di stato invenduti (li acquistava la Banca d’Italia) per tenerli ad un tasso di interesse basso, contenere il debito pubblico, e investire in economia reale invece che far detenere il nostro debito a banche private straniere. Questo pesò molto di più sul debito pubblico di qualsiasi altra cosa. Il Governo Spadolini cadde, proprio per colpa dei veti incrociati e del PSI che non voleva Anderatta.
Ai più attenti allora non può sfuggire il filo rosso che univa Andreatta, Ciampi, Prodi fino alla speculazione di Soros nel 1992. Prodi fu un grande nemico del PSI e l’unico dirigente di quell’epoca a non essere stato colpito da Tangentopoli. Singolare è che furono proprio i comunisti (ex e non) a trovare grande convergenza con lui nella Seconda Repubblica; un’intera classe dirigente che il giorno prima guardava all’Unione Sovietica, il giorno dopo fu – lei! – la protagonista della più grande stagione di privatizzazioni di questo paese (svendite, fatte malissimo a detta dei veri liberisti).
Tutto questo avvenne dopo il 1992. E avvenne proprio perché non c’era più il PSI, mentre Craxi da Hammamet tirava anatemi e metteva in guardia da un sistema europeo che rischiava di diventare “un inferno”.
Avrei anche da ridire sul ruolo che il PCI ebbe sulle grandi conquiste sociali in Italia: non fu mai al governo, non partecipò al primo centro-sinistra Moro-Nenni né a quelli dopo, e non prese parte a riforme molto importanti. Non votò lo Statuto dei Lavoratori, ad esempio. Osteggiò divorzio e aborto. Sempre in minoranza, sempre ad indicare il “Paradiso Sovietico” anche quando i carri armati facevano stragi sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Fino alle contraddizioni di Enrico Berlinguer.
Molti rimarrebbero stupiti a leggere il discorso di Craxi nel 1977 a Treviri, in occasione dell’anniversario di Marx, dove addirittura si spinge a dire che “il socialismo moderno può dirsi marxista, ma deve anche dirsi revisionista”. Lontano dai dogmatismi il percorso del socialismo democratico fu un altro, e fu vincitore.
“I socialisti anzichè distruggere la democrazia rappresentativa, l’hanno potenziata; anzichè cancellare il mercato, hanno mirato a sottoporlo a controllo politico; anzichè accentrare i processi decisionali, hanno cercato di decentrarli, in modo di avvicinare la cosa pubblica ai lavoratori”.
Questo è stato il senso di una stagione politica, e la vogliamo difendere. Nessuna santificazione, le fanno i preti. Noi siamo socialisti, e per noi esistono i compagni; presenti e passati. Come Bettino Craxi.
A vent’anni dalla sua morte, brindiamo a lui in ricordo.
Viva il compagno Craxi!
Enrico Maria Pedrelli
Segretario Nazionale FGS