Dal 1° gennaio 2020 è in vigore la riforma della Prescrizione voluta dal ministro della giustizia Bonafede. Essa prevede la sospensione dei termini di prescrizione dopo la sentenza di primo grado: che sia di condanna o di assoluzione. E’ inaccettabile in uno Stato di diritto!
La Prescrizione è un istituto basilare della nostra civiltà giuridica: al trascorrere di un certo periodo di tempo si “estingue il reato” , rendendolo non più punibile. Si parla di tempi lunghi, calcolati in base alla gravità: per un reato di media gravità si arriva a 15 anni! Nessuna prescrizione invece per quelli per cui è previsto l’ergastolo.
Essa risponde fondamentalmente a tre criteri molto elementari:
1. Uno Stato che non ha la capacità di fare giustizia in tempi ragionevoli non può limitare (a tempo indeterminato) la libertà personale dell’imputato, stritolandolo per decenni negli ingranaggi di un sistema costoso e invadente. E’ già una pena!
2. Il trascorrere del tempo sfuma le funzioni della pena, come la rieducazione, rendendola di per sé inefficace.
3. Più passa il tempo, più il reato perde il suo carattere antigiuridico: ha ancora lo stesso senso punire un reato dopo decenni?
Non è un escamotage pensato per tutelare “solo i ricchi e i potenti”: serve proprio per porre un argine agli abusi del Potere, il quale utilizzava – e può tutt’oggi utilizzare – gli strumenti della “giustizia” per scopi politici, o peggio personali. La retorica giustizialista in questo senso è una trappola: invocando una lotta furiosa e prioritaria per casi che invece sono limite e circoscritti, lede le garanzie di tutti e mortifica principi fondamentali come la separazione dei poteri. Questa retorica però si dimentica puntualmente della responsabilità di certi magistrati per tante ingiustizie e per tante inefficienze pagate esclusivamente dai cittadini.
Questa riforma allora peggiorerà una macchina giudiziaria già ingolfata e inefficace: ci saranno indagini frettolose e primi gradi di giudizio sommari pur di evitare che intervenga la “tagliola” della Prescrizione. E poi si faranno giacere per decenni i procedimenti di secondo grado nelle Corti d’appello, ad oggi un vero “imbuto” per le cause, frustrando così, in un colpo solo, i diritti e la libertà dell’imputato e i diritti della persona offesa che aspetta giustizia.
Questa è una battaglia di civiltà a tutela delle conquiste costituzionali dei nostri padri e del sacrosanto principio garantistico della presunzione di innocenza.